Giuseppe Calì nasce a Palermo nel 1976, in una famiglia che ha sempre avuto un forte legame con l’arte e la cultura. Il padre, Luigi uomo umile, lavoratore, devoto alla famiglia, la madre, Angela presente, di sottile sentimento, dedita al marito, ai tre figli, Loredana la maggiore e Alessandra due anni più grande di Giuseppe. Fin da piccolo Giuseppe mostra una predisposizione per il disegno e la pittura. A soli 5 anni inizia a dipingere, incoraggiato dal nonno materno, un artista dilettante schivo e pungente che gli ha trasmesso la passione dei colori e le forme, si può dire che questo gusto, è nato proprio con lui, che aveva capito e coltivava la sua passione. Quegli insegnamenti li porterà come bagaglio personale facendone tesoro.
Nel 1990 papà Luigi lo iscrive alle scuole superiori presso un istituto tecnico per geometri vicino casa, non contento per la scelta e sentendo il richiamo del mondo artistico, decide di cambiare e di intraprendere gli studi artistici, e da li a poco era iscritto al primo anno dell’Istituto Statale D’Arte corso di decorazione, e dal 1990 al 1997, si diploma maestro d’arte con un discreto voto, decide di continuare gli studi e di rinviare il servizio militare, diventa uno studente universitario dell’Accademia delle Belle Arti al Papireto, dopo due anni, decide di abbandonare gli studi e di pensare al suo futuro, Parte militare volontario VFB lo chiamavano, volontario in ferma breve per tre anni (1997). All’inizio la vita militare è stata una triste esperienza almeno per i primi mesi di lontananza dalla sua famiglia e dalle abitudini, ma soprattutto la voglia di dipingere sembrava essere svanita. La sofferenza all'obbligata vita collettiva, la rinuncia all'iniziativa personale, l'insopportabile disciplina, sono certamente le ragioni che hanno reso difficile ed amaro quel periodo. Con le prime disponibilità economiche poteva fare quello che più gli piaceva, DIPINGERE. Compra degli album dei colori delle matite, era di nuovo vivo, carico di entusiasmo, di ambizioni, di illusioni e godeva nel sapere che da quel momento la pittura sarebbe diventata la sua valvola di sfogo. Questo cambiamento segna un nuovo capitolo nella sua vita. Gli vengono commissionati lavori e creò il nuovo stemma del 1° Reggimento della Caserma G. Perotti con un’aquila che regge con gli artigli l’obice (sistema d’arma), stemma successivamente riadattato in misure maggiori per essere collocato nella facciata principale della caserma. Dello stesso periodo è anche l’opera “La presa di posizione dell’Artiglieria da Montagna” realizzato in acrilico su tela e donata al Reggimento. Negli anni successivi le opere assumono aspetti tipici dell'astrattismo. Nel 2009 incontra le pitture di Picasso a Madrid, studia Pollock e Riopelle e l’action painting, cercava di capire un altro aspetto della realtà e il modo di disegnare e dipingere diventa fulmineo con effetti di passaggi veloci, avvenuti d'istinto e senza riflessione. E' una libertà creativa istantanea, un'azione artistica che nasce prima, ed è più veloce, di ogni scelta, dove le forme e i colori s’intrecciano come specchio dei sentimenti narrando l’idea di libertà dai confini e dalla staticità. Questa forma d’arte gli permette l’espressione più alte della sua personalità per uscire dalla coscienza razionale, comprendere ciò che è “oltre i confini” e realizzare potenzialità che sono inconsce. Per ora quello che è importante è dipingere. Sono maturate nuove convinzioni, nuove determinazioni. Il suo modo di fare pittura, è arrivato a quel punto per il quale andare avanti, o meglio non fermarsi vuol dire andare oltre il figurativo, le figure si allungano prendono un’altra forma, quel desiderio di non avere limiti di non sottostare a regole esterne. Grazie all’utilizzo di pigmenti ad acrilico crea effetti smaltati che portano le linee e le forme ad assomigliarsi ed armonizzarsi nello spazio. Attraverso queste opere elabora un sistema simbolico del senso della vita "universale" che rivela nuovi modi di pensare gli spazi.
Nel 2009 ebbe l’occasione di imbattersi in una piccola vetrina alle spalle di corso Garibaldi a Torino, fù attratto subito da una scritta “Artefilia”, spinto dalla curiosità entrò e chiese informazioni, questo piccolo ambiente esponeva delle opere di artisti locali. Dopo una attenta chiacchierata la responsabile fece delle domande del tipo se aveva mai esposto o avuto esperienza nel settore, chiese di far vedere qualche lavoro per farsi un idea di cosa dipingesse, ma non avendo esperienza e non sapendo nulla del mondo delle gallerie delle esposizioni, fece vedere una foto di un lavoro dal suo cellulare, e da li concordò un ulteriore incontro con un numero idoneo di lavori da preparare per esporle. Una stanza tutta per lui e quella stanza fu il primo spazio espositivo, dove poteva liberamente fare vedere a un numero maggiore di persone la sua arte e non solo a parenti e amici, e quindi maturare le sue esperienze.
Sono del 2009 le prime partecipazioni a un’esposizione collettiva con l'etichetta dell'ufficialità. Era l'esposizione organizzata dalla Curatrice Artistica di Milano nella zona Navigli Sabrina Falzone collettiva dal titolo “Pioggia di Colori”. Quell’occasione fu per lui importantissima perché per la prima volta vide le sue pitture allineate vicino alle pitture di altri artisti che non conosceva. Solo con la pittura, con le responsabilità, con l’orgoglio, con l’ambizione, ha dato vero inizio a quella che è la sua vita di pittore. Era felice dentro, era un uomo libero, tutto teso nell'impegno di una pittura che, col passare del tempo, anche se non trova consensi, si andava però chiarendo a se stesso e questo era per lui quello che più importava. Con una grande forza di volontà, la vita in quegli anni corre tranquilla e serena come quella della prima infanzia e della giovinezza. Dipinge, e le varie esposizioni danno soddisfazioni, capisce piano piano che cos'è la pittura in tutte le sue forme, anche gli errori si sommano agli errori, ma per fortuna se ne accorge e non li ripete. È del 2009 il primo quadro non figurativo, poi ancora un ritorno a sintesi che sono dei flashback di personaggi, ordinato in linee orizzontali e verticali che si incontrano.
La sua pittura ha origine nel bisogno di cercare altre forme che non siano la realtà, situazioni paesaggi, tutto è diverso, andare oltre il limite almeno con l'immaginazione. Nel 2010, assetato dal bisogno di rendere il più possibile prezioso il modo di far pittura, usa tecniche più disparate dalla sabbia ai gusci d’uovo foglia oro. Va avanti sorretto dalla certezza che un giorno gli sarà data l’opportunità di fare conoscere la sua pittura a un pubblico più grande. Da questa convinzione nasce la voglia di partecipare a tante iniziative, ma il 2013 è un anno di cambiamento interiore e pratico, di riflessione che non porta nulla di buono alla sua pittura, ma nello stesso tempo mettendola da parte momentaneamente cerca di seguire la strada della progettazione grafica che è il modo migliore per non staccarsi completamente e non perdere la voglia di creare.
Segue il progetto grafico di un logo di un azienda agricola di Bra in provincia di Cuneo. Sposò subito la causa perché sostanzialmente creare un logo è una responsabilità non da poco. Negli ultimi anni le varie partecipazioni alle collettive/esposizioni esattamente dal settembre 2014 cambiano, grazie alla conoscenza con Giovanni Prelle Forneris Presidente della Promotrice delle Belle Arti di Torino, che credendo nel suo modo di vedere l’Arte, gli diede la possibilità di affiancarsi ad artisti emergenti e non, preparando dei lavori, che in questi anni si sono susseguiti fino al 2019. Di questo periodo sono le opere, “ Immersioni e Lavoro d’artista 1 e 2”, dove si vede il cambiamento repentino, qui prevalgono i colori e le forme spigolose, i volti si allungano, come nell’opera “Io credo nella mia Terra”, che racconta la vita contadina della sua Sicilia, la raccolta dell’uva nel periodo della vendemmia con i suoi inebrianti profumi. I colori presenti nella sua tavolozza sono colori brillanti vividi solari. Gli anni successivi sono stati di poca creatività segnati da situazioni sentimentali/personali che lo hanno portato a non credere più in lui, incredulo che la sua arte lo avesse abbandonato, non sentiva più la necessità di creare, i colori si erano spenti, questa forma di stasi aveva pervaso il suo corpo la sua più profonda essenza si era spenta. Nel 2020 la voglia di cambiamento lo porta a rivedere la sua condizione personale ed emotiva, sente la necessità di tornare alle sue radici, infatti provò sempre con dubbi e incertezze a rendere possibile dopo anni di permanenza in Piemonte di ritornare in Sicilia. Le condizioni non erano favorevoli, l’amore era perso, la creatività era svanita, l’unica cosa che rendeva più lieve la situazione era la vicinanza dei suoi amici che hanno avuto la meglio, ed in particolare di una persona, sempre presente e convincente, quasi ogni giorno era li a convincerlo di rivedere la sua decisione, infatti ha sollevato in lui un ragionevole dubbio, quindi decide di non trasferirmi più. Lei è La Cri (Cristina), una donna di quarantacinque anni di spessore conosciuta nel 2016 quando, arrivato nel suo nuovo posto di lavoro a Torino, si presentò con il suo fare da birichina, instaurando subito un intesa particolare, di complicità, che si è fortificato in tutti questi anni. Viene accolto dalla sua famiglia, facendolo sentire subito a suo agio, stravedeva in particolar modo per la signora Ricci, sua madre, una donna vedova di settantatré anni arzilla, curata, che lo conquistò con i sui squisitissimi Rabatòn (piatto tipico alessandrino), di ricotta, bietole, uova e parmiggiano, che con la sua spiccata esperienza nel farli è riconosciuta come la numero uno nel prepararli, e non mancava festa per farglieli gustare. Tra alti e bassi e la consapevolezza di rimanere a Torino, nel luglio del 2021 decide con sacrifici di comprare un piccolo appartamento in zona Santa Rita, un quartiere popolato prevalentemente da gente del sud, riconosce subito in quel quartiere una familiarità come quello che poteva trovare nella sua amata Palermo, qui infatti si trova di tutto, la sua chiesa del 1927 che da il nome alla piazza su cui si affaccia. Quel piccolo pezzo di Torino sarebbe stato il suo porto sicuro dove vivere in pianta stabile.
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